QUINDICI GIORNI «DIVERSI»
dal Manifesto 27.08.2009
Prove tecniche di Global Beach. Da ieri mattina il mare di San Nicolò è «abitato» non soltanto dai bagnanti veneziani. Armati di rastrelli e sacchi neri i militanti di centri sociali e associazioni stanno ripulendo e recuperando la spiaggia in vista della kermesse alternativa al via dal primo settembre Cantiere Global Beach in funzione. Da ieri mattina la spiaggia di San Nicolò, al Lido, è «abitata» non soltanto dai bagnanti veneziani che non hanno nè capanne nè capannini ma che vogliono comunque godersi il mare.
Armati di rastrelli e sacchi delle immondizie i militanti di centri sociali e associazioni veneziane stanno ripulendo e recuperando la spiaggia in vista di Global Beach, la kermesse alternativa che dal primo settembre accompagnerà – a distanza, ma con molti intrecci – la mostra del cinema di Venezia.
La spiaggia occupata è di proprietà del demanio militare, abbandonata al degrado da quindici anni, che dal 2004 viene temporaneamente occupata nel periodo della Mostra. Global Beach non significa, solamente, la possibilità di poter campeggiare a prezzi economici in un Lido inaccessibile ai più, lo spazio dove respirare un clima diverso rispetto alla patinata superficie della kermesse ufficiale o dove partecipare ad iniziative culturali indipendenti e di qualità. Nel tempo della crisi e dell’attacco governativo a cultura, spettacolo, ricerca e formazione, la nostra ambizione è che Global Beach possa trasformarsi in un’occasione unica di incontro, confronto e mobilitazione di esperienze tra loro differenti, ma, allo stesso tempo, capaci di connettersi in una logica di potenza e innovazione.
Da oggi architetti, attivisti, militanti, cittadini lavoreranno al cantiere per realizzare strutture destinate all’ospitalità e alle attività che ci saranno nelle due settimane di Global Beach. Perché la spiaggia non è più un ambiente naturale. Come dicono gli attivisti di Rebiennale (www.rebiennale.org ) l’associazione che si occupa di autorecupero a partire dal riutilizzo dei materiali delle vecchie Biennali, la spiaggia non esiste perché è semplicemente là come la riva del mare che la bagna.
Non spunta da una costa ma è l’addizione di materie e di elementi, la moltiplicazione di energie ma anche la sottrazione di territorio e la divisione, parcellizzazione del profitto. «Fare un progetto e realizzare Global Beach significa prima di tutto essere capaci di leggere la geografia socio-economica della città e osservare quello che esiste là dove si vuole intervenire. Global Beach è un lavoro. Di questo non se ne parla, come se fosse semplice svegliarsi la mattina e fare un cantiere in spiaggia, piazzare delle strutture, pulire e preservare l’equilibrio ambientale».
Per questo, fare Global Beach non è un’idea alternativa o una forma di occupazione effimera staccata dalla realtà cittadina, è una realtà cittadina. Una delle questioni che vuole sollevare l’occupazione di Global Beach è anche quella della lottizzazione che privatizza la spiaggia e ne determina l’accesso e l’uso esclusivo con evidente esproprio di un bene comune e sottomissione alla governance territoriale privata. «Pensare Global Beach diventa quindi pensare ad un’appartenenza alla città e la spiaggia deve essere socialmente riconosciuta e valorizzata. La spiaggia non è solo un bene comune, è un
bene necessario, le sue infrastrutture sono un bene condiviso che condiziona e trasforma lo spazio definito pubblico, la spiaggia come l’ambiente in generale è un modello sociale ed economico, Global beach intende esprimere un modello che parla di riappropriazione di welfare».
Mettendo insieme, assemblando degli elementi semplici e basilari per un approccio diretto al rapporto tra sostenibilità ambientale ed energetica, costruzione- fabbricazione-produzione di reddito. «Occupare e occuparsi della spiaggia è segno di quanto cittadini e visitatori e turisti, sono sensibili alla riqualificazione dal basso del territorio e dei quartieri. Guardare la città dall’alto immaginando una soluzione alla devastazione della laguna ed al degrado architettonico del centro storico è uno spettacolo di cui non chiediamo repliche. Hanno sperato che ci abituassimo alle fotografie aeree della grande opera che cresce e avanza nella laguna, il Mose, immaginandola come il corpo di un ingegnoso e inevitabile dispositivo di difesa dal mare come se il mare e la laguna non fossero parte della città.
Il Mose è e resterà un corpo estraneo alla vita di Venezia perché proteggere la città esige una consapevolezza e un impegno politico sul piano energetico, economico e ambientale».
Dal riciclo alla riqualificazione urbana, il progetto Rebiennale assume forme diverse. Dal 2008, il lavoro che ci impegna con i veneziani investe gli spazi e i materiali «di scarto» con lo scopo di rerstituirli alla città e ai suoi abitanti. La presenza del turismo, in particolare durante gli eventi culturali o mostre internazionali potenzialmente rigenera i luoghi, spostare persone e materiali per dare vita ad uno spazio di vita possibile, per svelarne le potenzialità e contribuire ad una storia… quella di Global Beach è uno dei capitoli del progetto Rebiennale.
Come lo è Planet Kurdistan, il primo padiglione kurdo, evento collaterale della Biennale d’Arte di Venezia. E come lo è il Morion. Sia Planet K che il Morion sono capitoli del progetto che sta portando avanti il collettivo Exyzt francese. «La Mostra del Cinema – dicono dal collettivo, ormai presente a Venezia da un paio di anni – segna la fine dell’estate e intendiamo partecipare approfittando degli ultimi raggi di sole sulle dune della spiaggia!».
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