Un centro sociale «fatto in casa»
Homemade, ovvero libertà è partecipare alla vita della propria città. Come? Chi è passato al centro sociale Morion di Castello nei giorni scorsi o ha fatto un giro per il quartiere di Santa Marta se ne è certo reso conto. Affollato il Morion di architetti, cittadini, studenti, occupanti di case. Tutti indaffarati a pensare, progettare, ipotizzare interventi in vari punti della città. Interventi differenti ma legati da un comun denominatore, ripensare la città, ripopolarla, riappropriarsene. Un progetto ambizioso, ma a Venezia ormai si vola alto. E a giusto titolo. Perché attraverso Asc, l’agenzia sociale per la casa, e l’associazione Rebiennale la città in questo ultimo anno e mezzo si è trovata sempre più spesso in mezzo a cantieri, ma non cantieri polverosi e inaccessibili. Al contrario cantieri di idee e di pratiche che hanno portato tra l’altro alla definizione di un progetto pilota presentato a Ater e Comune per l’autorecupero delle case occupate, ma anche al recupero del centro sociale Morion, e alla costruzione di un padiglione della Biennale, Planet K, il primo padiglione kurdo.
Homemade dunque diventa una scatola degli attrezzi, uno strumento per operare e vivere la città. Infatti i propositi del progetto sono chiari: contribuire a innescare forme di partecipazione consapevole, ragionata, condivisa; stimolare una riflessione sullo spazio urbano coabitato; re-immaginare una città in cui gli abitanti stessi siano parte attiva e consapevole nel definire le esigenze e le priorità; riproporre una coesistenza della dimensione urbana e rurale nel contesto lagunare; creare le condizioni per incentivare un turismo sociale sostenibile. Homemade è il progetto 2009-2010 di Rebiennale ed è il frutto di una collaborazione tra Asc, l’architetto Emiliano Gandolfi, Lucia Babina di iStrike, Exyzt, Refunc e Anomalie Urbane.
Qual è l’attrazione esercitata da Venezia per gli architetti anche stranieri che da un anno e mezzo partecipano al progetto Rebiennale è facile da capire. Lo dice bene Lucia Babina di iStrike: «Venezia in fondo ha un vantaggio per noi che interveniamo sulle città, quello di non essersi potuta sviluppare come altre città. Venezia deve costantemente ripensare al passato perché non ha futuro, almeno non inteso come il futuro delle altre città. Ha un altro tipo di futuro che sta nel riattualizzare costantemente il suo passato». iStrike è un collettivo con base in Olanda che opera sulle e nelle città, ma soprattutto con le città, ovvero con i cittadini. «I nostri interventi – dice Babina – sono sulle città e sulle persone con l’obiettivo di migliorare la vita nelle città». A Venezia Babina come gli altri protagonisti di Homemade hanno trovato un terreno fertile. Anche perché Asc e Rebiennale avevano già attivato processi di coinvolgimento dei cittadini. «Possiamo iniziare – dice Babina – da piccole cose, per esempio un intervento a San Piero di Castello che riguarda gli orti urbani ma in collegamento con i contadini di Sant’Erasmo». Idee ce ne sono molte sul tappeto, come il mercato mobile o cambiare volto a quello spazio pubblico alla Giudecca che tanto infastidisce i cittadini.
Il centro sociale Morion in questo processo è fondamentale perché di fatto è la piattaforma, il luogo di sperimentazione di idee aperto a tutti. Interessante la sinergia con l’artista Marietiza Potric che tiene un corso allo Iuav Arte e che sta lavorando all’isola di Sant’Erasmo con i contadini locali sui sistemi di irrigazione che utilizzino l’acqua piovana. «È un lavoro importante – dice Babina – che parte dall’idea che condividiamo di riconsiderare il fatto che le città possano produrre parte delle risorse che poi useranno». Al Morion nei giorni scorsi c’erano anche Jan Korbes e Denis Oudendijk, architetti del collettivo Refunc. Già ospite del padiglione Italia alla Biennale architettura curato da Emiliano Gandolfi, Refunc opera tra il design, la creazione artistica e l’architettura producendo oggetti, installazioni autocostruite a partire dal riciclaggio e riutilizzo dei materiali vecchi di scarto. «Diamo nuova vita agli oggetti e ai materiali abbandonati – dicono – dimenticati, gettati via. L’origine del design è insito nell’oggetto stesso, nella sua anima, noi auscultiamo e ascoltiamo gli oggetti, la loro storia e i desideri che li hanno creati o utilizzati e a partire da questo scopriamo un nuovo modo di usarli». Gli architetti di Refunc sono «usciti dagli studi di architettura – dice Babina – criticando il sistema di architettura attuale e credendo in una cosa fondamentalmente, che si può riutilizzare quello che già esiste». Nei loro luoghi di intervento in genere arrivano senza nulla, cominciando a cercare e recuperare materiali da riutilizzare in loco.
Nel primo laboratorio Homemade al Morion dunque si sono gettate le basi per il lavoro che si svilupperà a partire da dicembre e che coinvolgerà anche interventi già attivi l’anno scorso, come per esempio il recupero dei materiali utilizzati dalla Biennale d’Arte da parte dell’associazione Rebiennale, che quest’anno oltre al recupero e allo stoccaggio si prefigge anche la restituzione alla città di quei materiali attraverso il loro utilizzo in interventi in città.
di Orsola Casagrande
Il Manifesto 12-11-09
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