Fosca Salvi, tra i membri della redazione < 26, ci racconta il gruppo il progetto di Re-Biennale.
Continua il nostro viaggio attraverso i molteplici livelli di una Venezia sconosciuta ai più. La Venezia che produce cultura che non siano cartoline, biennali, punte-della-dogana, architetti di grido e quant’altro…
Link alla prima puntata > http://www.abitare.it/it/events/migropolis/
Dopo l’ovvia scoperta che la città non è solo un insieme di edifici storici imbottiti e traboccanti di turisti, procediamo verso osservazioni (forse) ben più destabilizzanti… (ipotesi che devo verificare, non ne sono completamente certa).
Questa seconda escursione parte da un consiglio di Valentina Ciuffi (grazie a Valentina): cercare di arrivare agli organizzatori di un’iniziativa chiamata “Rebiennale”. In estrema sintesi, un gruppo di giovani artisti (i ragazzi del Morion), dopo essersi stabilito nello storico centro sociale ormai caduto in disuso, aveva iniziato a pensare a cosa sarebbe successo “dopo”. “Dopo” la fine della Biennale e “dopo” che le orde di aficionados dell’arte patinata se ne fossero tornati a casa. Da questi ragionamenti viene fuori “Rebiennale”, ovvero una possibile maniera di riutilizzare la montagna di materiali e scarti usati nei vari padiglioni in giro per la città.
Stabilito l’orizzonte teorico (e pratico), l’iniziativa parte di slancio cominciano svariate collaborazioni con alcuni dei collettivi più importanti d’Europa in fatto di re-design e simili. Nomi che per gli esperti del settore sono discretamente celebri: gli Exyst (http://www.exyzt.org/) e i Refunk (http://www.refunc.nl/refunc/) che approdano alla Serenissima collaborando con gli “indigeni” inventandosi una serie di progetti via l’uno avanti l’altro.
I progetti sviluppati sono interessanti e curiosi (http://www.rebiennale.org/) in effetti però quello che mi intriga molto sono gli “indigeni”. Data la descrizione che vi ho dato, uno si potrebbe immaginare il classico collettivo anarco/comunista che si impegna con questo genere di iniziative nell’attesa dell’arrivo di Trotsky o un Bakunin che li guidi in una qualche presa del palazzo d’inverno veneziano. La realtà è invece un po’ diversa (cioè, c’è anche questo livello, ma non è il solo e neppure il più significativo). Quello che mi interessa è l’intero universo parallelo che esiste e che rimane un po’ invisibile.
Un numero indefinibile di intelligenze di vario tipo, attive nel dare forma, significato e sostanza al come si possano coniugare i due termini “arte” e “Venezia” (senza cadere in orrendi clichè visti e rivisti). Una serie di luoghi (in genere nascosti e/o più o meno abbandonati) dove l’arte incrocia l’impegno sociale e prende forme inaspettate o inattese.La mia navigazione ha preso la forma di una spirale infinita, di un frattale: non appena ottengo un indirizzo, un’indicazione, una data e un’ora dove succede qualche cosa, a grappolo arrivano altri cento input. Potrei usare la metafora dell’albero con un sistema di radici invisibili e infinite, o se preferite una quantità inverosimile di rami e foglie di tutti i tipi (in genere precluse ai non veneziani).
Inizio col parlare con qualche collega del corso di Arti Visive delloIUAV, chiedo informazioni a proposito di “Rebiennale” piuttosto che del Laboratorio Morion, ma alle prime risposte inizio a capire che le due cose fanno parte di un progetto molto più grande che riguarda solo in una piccola misura la Biennale. Come se ci fosse un sistema di società segrete, tra di loro collegate, il cui fine e obiettivo non è affatto chiaro e neppure così esplicito.
Inizio a prendere appunti, tra uno spritz e una riunione di questi carbonari dell’arte sociale. Inizio a capire che a Venezia esistono alcuni gruppi di attivisti impegnati a cavallo tra l’arte e il sociale, dai “ragazzi del Sale”, coloro che gestiscono il gigantesco capannone adibito a galleria d’arte chiamato “i Magazzini del Sale”, ai ragazzi del Morion, l’ex centro sociale sopracitato, fino ad arrivare ai giovani artisti a cui laFondazione Bevilacqua La Masa ha assegnato degli atelier da poter usare per le loro attività.
Un mondo dell’arte vivo e attivo, lontanissimo da tutto quello che filtra attraverso i media tradizionali. Peraltro portatore di progetti e idee incredibilmente più interessante delle stupidaggini prodotte dal mondo dell’arte patinata.
Ovviamente, essendo che si tratta di fenomeni sottopelle, il tutto funziona su principi di frazioni, fazioni, gruppi non sempre collaborativi o uniti dallo stesso obiettivo. Website e blog tra di loro scollegati, numeri di telefono appuntati su un foglietto. In un mondo ossessionato dalla visibilità e dalla comunicazione, qui funziona al contrario. Dopo una serie di telefonate a personaggi improbabili, riesco a capire ed estrapolare il programma di “Rebiennale”, o meglio del “Global Project”, che si sta riattivando dopo una pausa post-estiva. Il prossimo appuntamento sono una serie di workshop che coinvolgono anche gli studenti dello IUAV e si tengono in diverse zone della città, da Santa Marta alla Giudecca. Il comun denominatore per queste attività è basarsi su luoghi abbandonati o degradati, dove per “degradato” si da un’accezione ampia. Un edificio può essere degradato essere degradato a causa delle frizioni tra i vecchi abitanti (in genere anziani) e gli studenti approdati in citta’ per i corsi universitari.
A oggi è stata completata la prima parte del workshop: “Anomalie Urbane” (dal 22 al 28 ottobre), che ha visto occupanti ASC (Agenzia Sociale per la Casa) , collettivi di architetti (provenienti da diversi paesi europei) e gli studenti della Facoltà di Architettura uniti nell’intento di indagare e cercare di risolvere i problemi che ci sono all’interno dell’exquartiere popolare di Santa Marta. Una galassia fatta di abitazioni non propriamente abitabili, i suo spazi verdi dimenticati e la grande quantità di giovani che hanno iniziato a viverci e che pare non interessarsi affatto alla vita del quartiere.
Dopo i primi giorni serviti come sopralluogo, il gruppo si è trasferito al Morion per “costruire”; per lo più si è trattato di arredo urbano fatto con i pezzi recuperati dalla scorsa Biennale, ma non è tanto importante cosa sia stato prodotto, ma bensì il fatto che qualcosa di tangibile è stato portato sul posto come prova che qualcosa è successo e succederà, per far vedere che c’è qualcuno che pensa anche a quelle parti di Venezia un po’ dimenticate.
Il passo successivo è stato organizzare una festa per riaprire il piccolo (e meraviglioso) giardino all’interno della sede di Pianificazione del Territorio a Ca’ Tron. “Autorecupero” > parola chiave di tutta l’iniziativa.
Se siete arrivati sin qui e tutte le mie descrizioni non vi hanno convinto, oppure se il tutto si presenta come una riedizione di cose già viste, riviste, straviste nei cinquant’anni precedenti, nessun problema (sono consapevole che tutto questo universo da me descritto può essere incredibilmente interessante oppure un dejà-vu spaventoso, oppure le due cose assieme). Comunque sia, qui avete un riferimento a un’esposizione anticonvenzionale che però si basa su formati collaudati e consolidati (mostra, artisti, lavori, etc.): “Bookmarks” esposizione che ha appena riaperto i Magazzini del Sale, percorso all’interno del lavoro di otto artisti emergenti, differenti per media impiegati e tematiche affrontate.
Anche qui molti dei materiali utilizzati sono stati recuperati dalla passata Biennale, la mostra è aperta fino al 14 dicembre.
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