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Rebiennale: la mostra non finisce e se ne va per la città

Rebiennale rassegna stampa

L’argilla di Frank Ghery, pannelli di ferro, plexiglass, e tanto altro ancora. E’ ciò che rimane della Biennale di Architettura. Ma alcuni padiglioni hanno permesso agli studenti di appropiarsi dei «rifiuti». E così tutto ciò che resta di un grande evento artistico rivivrà in progetti di autorecupero e autocostruzione

VENEZIA
Piove e fa freddo. L’Arsenale di Venezia ha un che di inquietante sotto la pioggia. Sarà perché così si rivela maggiormente il suo essere scheletro. Archeologia industriale. Ora che le opere della Biennale architettura sono state quasi tutte smontate e i capannoni sono semi vuoti sembra appunto una di quelle grandi fabbriche svuotate, involucri che quando ci cammini dentro ti sembra di sentire le voci degli operai che li vivevano. Però l’Arsenale di Venezia, almeno una parte, rimane per fortuna vuoto soltanto per pochi mesi. Da qui a qualche settimana infatti tornerà a pullulare di operai, esperti, artisti pronti ad allestire la prossima Biennale. Quest’anno quella d’arte.

Il lavoro di smantellamento delle opere della Biennale Architettura non è ancora finito. Infatti ci sono ancora un po’ di materiali accatastati. Sono plexiglass, pannelli di ferro (erano quelli della nuova mappa di Roma), c’è anche la bellissima foto di gruppo dei costruttori della casa di legno del campo nomadi di Roma, il Casilino 900. E poi c’è argilla, tanta argilla. E’ l’argilla di Frank Gehry.

Tutti materiali catalogati dai giovani architetti e dagli studenti che hanno promosso e aderito al progetto Re-Biennale. Ovvero, come autorecuperare materiali, «rifiuti», per reinventarli, riassemblarli, restituirli in forma di progetto alla città. Anzi, per dirla con Re-Biennale, si tratta di «una straordinaria occasione per prendersi cura della città come tessuto complesso di relazioni sociali, funzionali e spaziali che può essere progettato da chi la vive, per esplorarla e studiarla, per lavorare trasformandola in un cantiere di idee e di fatto, per darle il senso che le istituzioni, incapaci di leggere le dinamiche reali e di investire politicamente nell’abitare, non sanno dare. La creatività della ricerca e l’ibridazione dei linguaggi possono così garantire la ricchezza del disegno urbano».

Quindi Commons Beyond Building che appunto significa andare oltre, costruire il comune. In questi ultimi tre mesi gli studenti, insieme ai collettivi che hanno promosso Re-Biennale (ASC Agenzia Sociale per la Casa, Casilino 900 /Stalker-ON, Geologika collettiva, Sale-Docks, Exyzt, 2012architecten, millegomme/refunc, Collettivo SottoTetto, Famiglia Bresci e l’architetto Emiliano Gandolfi), hanno compiuto sopralluoghi, catalogato materiali, smontato e caricato sulle barche quanto i padiglioni che hanno aderito al progetto, hanno ritenuto di poter restituire alla città. La facoltà di architettura ha aderito alla proposta di Re-Biennale e al workshop organizzato dagli architetti di Commons Beyond Buildings sono destinati anche i crediti per gli studenti che hanno partecipato.

Sotto la pioggia si impacchettano pezzetti di plexiglass, chiedendosi che forme nuove, che nuova vita assumeranno. I sacchi di argilla sono il pezzo più tosto da caricare. Già impacchettarla l’argilla è stata un’impresa. Ma è l’elemento, la terra, a cui tutti quelli che stanno lavorando per autorecuperare tengono di più. Perché è quello più duttile. Si utilizza per costruire cose bellissime che poi possono essere nuovamente autorecuperate. Perché la terra non si esaurisce mai. Si modella, prende forma, si trasforma, ma non si dissolve, non muore. La barca parte carica, sotto la pioggia battente e intanto si fa a fare un altro carico di materiali.

Ora l’argilla insieme agli altri materiali verranno stoccati al centro sociale Morion, nello storico e popolare quartiere veneziano di Castello, dove tra qualche giorno aprirà quello che sarà un grande cantiere. Un cantiere che sarà attraversato da architetti, cittadini, studenti e da quanti vorranno andare a curiosare o a dare una mano. Si progetterà il recupero del Morion. Ma non solo. I primi ad arrivare saranno gli architetti francesi del collettivo Exyzt. Si insedieranno al Morion e cominceranno a interagire con il centro sociale, con il quartiere, con gli studenti e quindi a produrre.

Nel frattempo gli studenti di architettura che hanno partecipato al workshop presenteranno la prossima settimana i risultati del loro lavoro di analisi degli spazi espositivi e delle schede tecniche di catalogazione e di valutazione dei materiali utilizzati. Hanno anche avuto il tempo e il modo di pensare ai possibili riutilizzi del materiale recuperato. Questo è il lavoro che servirà allo scambio produttivo con le reti di abitanti dando quindi la possibilità anche agli studenti di entrare in contatto con la «committenza sociale (commons)» alla quale sarà destinata la progettazione e l’autocostruzione.

dal Manifesto del 17.01.2009, a cura di Orsola Casagrande

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